Con il termine “medicina
solstiziale” si intende l’insieme di pratiche preventive e
terapeutiche che sono in relazione con i due solstizi, d’inverno
e d’estate, che la Chiesa cattolica ha traslato al 25 dicembre
con la festività del Natale e al 24 giugno con la festività di
Giovanni Battista.
La parola solstizio significa
“fermarsi” e indica il punto di arresto attribuito ai due solstizi:
al 21 giugno vi è il solstizio d’estate, momento nel quale il
sole raggiunge la sua massima declinazione positiva rispetto
all’equatore celeste, ed è la giornata con più ore di luce, per
riprendere il cammino inverso e al 21 dicembre si realizza il
solstizio invernale che simbolicamente indica la vittoria della
luce sull’oscurità poiché le ore di luce torneranno ad aumentare e
le giornate ad allungarsi.
Nella tradizione indiana, i due
solstizi erano chiamati “porte”: porta degli dèi per quello
invernale e porta degli uomini per quello estivo.
La porta degli uomini, corrispondente
al solstizio d’estate, si attua quando il Sole, astrologicamente,
entra nel segno del Cancro; mentre la porta degli dèi,
corrispondente al solstizio d’inverno, si attua quando il Sole entra
nel segno del Capricorno.
La tradizione popolare ha
assegnato ai due solstizi delle valenze terapeutiche, per certi
versi, ritenute eccezionali proprio per il loro legame
religioso-astrologico, tanto da divenire momenti risolutivi nei
quali le metodiche e le pratiche sono molteplici e variegate, ed è
in questa visione che si può parlare di medicina solstiziale.
Gli elementi predominanti, quali
mezzi terapeutici, si riferiscono alla centralità dell’acqua e del
fuoco. La presenza di questi due elementi, in tutti i riti di
passaggio e di purificazione presenti nel mondo antico e nei rituali
terapeutici dei due solstizi, avevano la funzione di indicare il
passaggio ad una nuova fase della vita e del rapporto dell’uomo con
la natura, eliminando le forze negative, causa di malattie e di
disgrazie.
Di fatto, essendo state spostate
della Chiesa le date dei solstizi, la tradizione popolare finì per
ritualizzare il giorno di San Giovanni Battista, 24 giugno, per
il solstizio d’estate e quello del Natale, 25 dicembre, per il
solstizio d’inverno.
La notte di San Giovanni i
malati venivano immersi nei fiumi o nel mare, per guarirli dalle
malattie, e con l’acqua raccolta nella notte si lavava il viso delle
persone per allontanare i malanni.
Nella notte di San Giovanni si
riteneva che la rugiada avesse dei poteri terapeutici, difatti ci si
rotolava nell’erba bagnata dalla guazza per guarire di disparate
malattie.
In particolare, la guazza di San
Giovanni guariva il mal di testa e le malattie degli occhi: a tal
proposito bisognava uscire all’alba e strofinare le palpebre, la
fronte e le tempie con le mani bagnate di rugiada.
In Friuli alla rugiada di San
Giovanni era attribuito il potere di rendere fertili le donne.
La rugiada veniva conservata per un
anno, mantenendo le proprietà terapeutiche, in particolare come cura
preventiva contro le rughe precoci e la caduta dei capelli e, in
Piemonte, era usata per impastare focacce utili a curare
l’epilessia.
A proposito dell’epilessia, si
credeva che questa si potesse curare immergendosi nelle acque del
mare dopo la mezzanotte del 21 giugno.
In Germania si accendevano, per la
vigilia di San Giovanni, dei fuochi, assegnando ad essi il potere di
preservare da ogni malanno per tutto l’anno. Nella bassa Austria,
chi saltava tre volte il fuoco non avrebbe avuto la febbre durante
l’anno.
Guardare il fuoco del falò attraversi
mazzi di fiori o ghirlande fortificava gli occhi e le palpebre.
La tradizione ligure suggerisce una
terapia contro la parassitosi intestinale: per liberare i bambini
dai vermi, si fanno loro mangiare delle cipolle cotte sui falò di
San Giovanni.
I Berberi e altre tribù arabe credono
che stropicciandosi la testa con una pasta fatta con le ceneri
prevengano la caduta dei capelli.
In Marocco le coppie senza figli
credono di prolificare saltando il falò.
In molti Paesi il salto del fuoco del
solstizio d’estate previene e cura tanto le coliche intestinali
quanto le malattie degli occhi.
Il 21 giugno o - da quando è stato
traslato - il 24 giugno rappresenta in tutti i Paesi il momento nel
quale le piante possiedono poteri terapeutici particolari.
Nei tempi passati gli erboristi ed i
raccoglitori aspettavano il fatale appuntamento annuo, per
rifornirsi delle nuove piante officinali.
Il momento propizio deve
essere quello dello scoccare della mezzanotte, quale attimo
decisivo tra il vecchio e il nuovo; ecco perché il malato bisognoso
di mutare il suo stato in uomo sano viene portato sotto un albero;
la pianta scaricherà verso terra il malanno e continuerà a crescere
rigogliosa.
Per quanto concerne il Solstizio
d’Inverno, ci troviamo nel momento dell’anno più sacro e
spirituale, tanto che la medicina solstiziale pone maggiormente
l’attenzione sulla cura dell’anima e sulle possibilità di vivere
serenamente tutto l’anno.
Dal solstizio invernale in poi le
giornate si allungano e il Sole “nasce”; difatti la parola Natale
indica “il giorno della nascita”.
Alle piante che sfidando il freddo
invernale veniva concesso di restare verdi e di fruttificare, sono
state assegnate molteplici valenze: terapeutiche, propiziatorie,
apotropaiche.
Tra queste, i Celti avevano eletto la
pianta del Vischio, quale vegetale simbolico del solstizio
d’inverno. Secondo la tradizione celtica fu Rama a scoprire le
proprietà terapeutiche del vischio: questo giovane druido,
addormentandosi sotto un albero di quercia ebbe in sogno la
rivelazione del modo in cui avrebbe potuto vincere una grave
epidemia, usando proprio il vischio.
Svegliatosi preparò un infuso a base
di vischio che cresceva sulla quercia e riuscì a salvare il suo
popolo.
Con riferimento alle signature, la
similitudine della polpa appiccicosa delle bacche del vischio con lo
sperma, veniva considerata apportatrice di fertilità, ecco perché in
molti Paesi le donne sterili mangiavano alcune foglie di vischio
raccolte al solstizio d’inverno, per poter procreare.
La traslazione al 25 dicembre, giorno
del Santo Natale, ha mantenuto molte valenze popolari salutistiche,
così chi soffriva di screpolature alle mani per guarire doveva
strofinarle con l’aceto che era stato posto a tavola la sera della
vigilia di Natale.
Un’altra usanza terapeutica
consisteva nel conservare i carboni e le ceneri del ceppo di Natale
per curare il gonfiore delle ghiandole; inoltre tali resti
proteggevano la casa dal fuoco e dai fulmini.
Anche alle foglie e bacche
dell’Agrifoglio venivano attribuite numerose proprietà terapeutiche.
In generale, al solstizio d’inverno è
sempre stato assegnato un valore preventivo per quanto riguarda la
salute e il benessere, tramite l’introspezione e la presa di
coscienza di una vita futura all’insegna dell’amore; d’altronde il
Natale dovrebbe essere la festa della convivialità e dell’amicizia.
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